Riassunto

rm-vcf-dominoLa rapida insorgenza dell’effetto domino dopo la prima frattura vertebrale da compressione (VCF) è una conseguenza diretta delle variazioni meccaniche che interessano la colonna vertebrale quando si modificano le curve fisiologiche. Il grado di cifosi influenza l’intensità del momento flessorio; questo viene ad essere maggiore nelle vertebre D7, D8 e D12, L1 quando la colonna vertebrale è in flessione.
Le fratture di D7, D8, D12 e L1 sono, di gran lunga, le più frequenti e anche la causa principale delle alterazioni meccaniche che possono innescare l’effetto domino. Per queste considerazioni le vertebre D7, D8, D12 e L1 devono essere considerate “critiche”. Nel caso di fratture vertebrali cliniche critiche è utile fornire un’indicazione per la chirurgia miniivasiva di riduzione e/o stabilizzazione intrasomatica.
Quando si verifica la frattura di una “vertebra critica”, il rapido ripristino delle altezze porta ad una riduzione dell’indice cifosi e quindi nel momento flessorio, non solo nella vertebra fratturata ma anche in tutti gli altri metameri i quali, anche se morfologicamente ancora integri, sono strutturalmente fragili; così, attraverso il ripristino delle proprietà meccaniche vertebrali, si può ridurre il rischio di effetto domino.
Al tempo stesso la pronta attuazione della terapia osteoinduttiva è indispensabile per ottenere una rapida ed intensa ricostruzione dell’osso trabecolare, la cui resistenza aumenta significativamente in un breve lasso di tempo. Sono, tuttavia, necessari studi clinici per confermare la riduzione dell’effetto domino per la frattura da fragilità di “vertebre critiche” mediante il ripristino delle proprietà meccaniche unitamente alla terapia anabolizzante.

Introduzione

rm-vcf-domino-2Le peculiarità strutturali dell’osso spongioso consentono al corpo vertebrale di reggere le sollecitazioni dinamiche derivanti dalla forza di compressione deformandosi senza rompersi. L’assottigliamento e l’interruzione delle trabecole ossee che si verificano nelle malattie da fragilità dello scheletro riducono la resistenza del corpo vertebrale che diventa inidoneo al carico meccanico e perde la funzione di sostegno.
Studi osservazionali dimostrano come, dopo una prima Vertebral Compression Fracture (VCF), il rischio di andare incontro a nuove VCFs aumenti del 20% nell’anno successivo, sia indipendente dalla BMD, aumenti in rapporto al numero e alla gravità delle VCFs al basale e sia, infine, maggiore se nella vertebra ad essere ridotta è l’altezza anteriore.
Nelle donne osteoporotiche l’ipercifosi dorsale si associa ad una maggior incidenza di fratture vertebrali. Nell’ipercifosi dorsale dovuta a VCFs aumenta anche il rischio di frattura di collo femore per la condizione di equilibrio instabile che si viene a creare in seguito allo spostamento in avanti del baricentro che tende a fuoriuscire dalla base d’appoggio. Questa condizione di instabilità si associa ad un’elevata incidenza di cadute che, soprattutto nelle persone anziane, spiega l’aumentato rischio di frattura di collo femore.

Patogenesi meccanica e effetto domino

Il rapido manifestarsi dell’effetto domino che si instaura dopo una prima VCF è diretta conseguenza delle variazioni meccaniche alle quali va incontro il rachide per modificazione delle curve fisiologiche.
I momenti patogenetici che spiegano meccanicamente l’effetto domino sono:
a) l’accentuazione della cifosi dorsale con inversione della lordosi lombare;
b) lo spostamento in avanti del baricentro.
Le sollecitazioni maggiori che agiscono sul rachide in ortostasi sono la forza di compressione, uniforme su tutta la sezione delle vertebre, e la forza flessoria, diversificata perché dipendente dal momento flettente.
Il momento flessorio è dato dal prodotto della forza peso (costante) per il braccio (variabile). Il braccio è la distanza condotta perpendicolarmente all’asse gravitazionale ed è dipendente dal grado di cifosi, che può essere espresso mediante l’indice di cifosi. L’entità della cifosi condiziona, pertanto, l’intensità del momento flessorio che viene ad essere più elevato nelle vertebre D7 e D8, le quali fisiologicamente vengono ad essere più esposte al rischio di frattura.
Oltre alle vertebre del tratto dorsale medio (D7-D8), le altre che più frequentemente vanno incontro a frattura sono quelle del tratto dorso-lombare (D12-L1) poiché, quando il rachide è in flessione, si trovano a sostenere un maggiore sollecitazione flessoria.
Le fratture D7, D8, D12 e L1, in assoluto più frequenti, sono anche la causa principale delle alterazioni meccaniche in grado di generare l’effetto domino; queste, pertanto, andrebbero considerate in maniera del tutto differente dalle altre, in quanto “vertebre critiche” in cui la “criticità” è data dalle probabilità di aggravamento a breve della deformità vertebrale iniziale e dalla possibilità di generare, per aumento del momento flessorio in tutti gli altri metameri, l’effetto domino.
Particolarmente utile, in caso di fratture vertebrali cliniche con carattere di criticità, è l’esecuzione di una seconda RX a distanza di 15-20 giorni dalla frattura poiché, dal confronto, è possibile valutarne l’evoluzione, quantificare l’eventuale aggravamento ed eventualmente porre l’indicazione per un trattamento chirurgico mini-invasivo di riduzione e/o stabilizzazione intrasomatica.
L’aggravamento della deformità vertebrale può essere calcolato ed espresso percentualmente dalla formula:
 d% = |hp – ha(m)| / hp * 100
dove
d % = grado percentuale di deformità
hp = altezza posteriore
ha(m) = altezza anteriore o media
Il grado di aggravamento della deformità vertebrale è valutabile mediante la formula:
   a% = d%T0 – d%T1
dove
a = aggravamento percentuale
d%T0 = grado di deformità iniziale rilevata al tempo T0 (basale)
d%T1 = grado di deformità finale rilevata al tempo T1 (a distanza di 15-20 giorni)
In caso di frattura di una “vertebra critica”, il ripristino precoce delle altezze porta ad una riduzione dell’indice di cifosi e quindi del momento flessorio non soltanto nella vertebra fratturata ma, a cascata, anche in tutti gli altri metameri, morfologicamente ancora integri ma strutturalmente fragili, con riduzione del rischio di effetto domino.
La riduzione del braccio, conseguente al ripristino delle altezze, porta ad una diminuzione del momento flessorio al tempo T1  non soltanto in D8 [FM(D8) = Xž(Y-Z)], ma anche sugli altri metameri [FM(D7-D9) = Xž(Y-Z1); FM(D6-D10) = Xž(Y-Z2)] ed ha, come diretta conseguenza, la riduzione del rischio dell’effetto domino. E’ ovvio che il ripristino delle altezze in una VCF con caratteristiche di criticità non può azzerare il rischio di effetto domino ma sicuramente è in grado di ridurlo; non deve essere ignorata, infatti, la condizione di fragilità ossea sistemica che ha portato al manifestarsi della prima VCF e che continua ad esserci.
In presenza di fragilità scheletrica può essere utile saper valutare in anticipo gli effetti derivanti dagli squilibri meccanici indotti dalle VCFs riconoscendo la criticità delle fratture e identificando le vertebre maggiormente esposte a sollecitazioni meccaniche. Nelle VCFs con caratteristiche di criticità, appropriati interventi finalizzati al ripristino delle altezze ed al rinforzo strutturale, oggi ottenibile con idonea terapia farmacologica, consentirebbero di evitare, o quanto meno ridurre, il rischio di effetto domino.
Le deformità di grado moderato-severo di “vertebre critiche” si ripercuotono in modo meccanicamente sfavorevole su tutto il rachide dorso-lombare aumentando le sollecitazioni flessorie in tutte le vertebre. Pertanto, in caso di frattura in acuto di una “vertebra critica” (D7, D8, D12 e L1), dove il momento flessorio è maggiore e dove il l’aggravamento della deformità vertebrale è particolarmente frequente, il ripristino precoce delle altezze, mediante interventi di riduzione-stabilizzazione intrasomatica mini-invasiva (cifoplastica), può rappresentare la strategia che consente di prevenire le conseguenze derivanti dagli scompensi meccanici che portano all’effetto domino.
Il grado di correzione della deformità vertebrale esprime il “guadagno”, ossia il valore percentuale ottenuto dalla correzione della deformità riferita al grado iniziale, e dipende dall’entità del ripristino delle altezze.
E’ ovvio che la precocità dell’intervento di riduzione-stabilizzazione intrasomatica è fondamentale essendo condizione indispensabile per ottenere il miglior risultato in termini di guadagno nella deformità vertebrale.
Attualmente sono disponibili due metodiche di chirurgia mini-invasiva che consentono di approcciare la frattura vertebrale da fragilità secondo i criteri suesposti: la vertebroplastica e la cifoplastica che entrambe si avvalgono dell’introduzione di cemento acrilico a bassa viscosità (PMMA, polimetilmetacrilato) all’interno del corpo vertebrale.
A differenza della vertebroplastica, la cifoplastica è in grado di ridurre la deformità in fratture recenti a carico di “vertebre critiche” mediante introduzione di un palloncino nel corpo vertebrale, che andrà gonfiato fino ad ottenere il miglior risultato in termini di ripristino della morfologia del corpo vertebrale. Successivamente si procederà all’introduzione di cemento a bassa pressione per stabilizzare la vertebra.
Al di là di utilizzare l’una o l’altra delle metodiche, la cui scelta è operatore-dipendente, i criteri che andiamo a proporre per ricorrere al trattamento chirurgico mini-invasivo di una VCF sono i seguenti:
a) stabilizzazione intrasomatica nel trattamento precoce di VCFs critiche senza deformità e nel trattamento tardivo di VCFs non critiche ma dolorose
b) riduzione e stabilizzazione intrasomatica nel trattamento precoce di VCFs critiche con deformità in rapida progressione
La perdita della flessibilità, cui va incontro una VCF dopo cementificazione intrasomatica è causata, oltre che dal collasso e dall’addensamento delle strutture trabecolari, soprattutto dall’introduzione di PMMA all’interno del corpo vertebrale. Il PMMA, per le sue proprietà fisiche, si comporta da amplificatore di stress aumentando il rischio di frattura delle vertebre adiacenti. Appare, quindi, quanto mai giustificato il ricorso a materiali cosiddetti “osteoconduttori”come il calcio carbonato e calcio trifosfato con caratteristiche che tendono a riprodurre la struttura ossea .
Le VCFs sono la manifestazione clinica più eclatante della gravità di un’osteopatia sistemica da fragilità che non può prescindere da una corretta diagnosi e da un adeguato trattamento farmacologico.
Dove si è ritenuto di eseguire un intervento di riduzione-stabilizzazione intrasomatica di VCFs critiche va tenuto in considerazione il ricorso tempestivo ad una terapia osteoinduttiva, indispensabile per ottenere una rapida ed intensa ricostruzione dell’osso trabecolare che porti, in tempi brevi, ad un aumento significativo della resistenza.
E’ stato dimostrato in vivo, attraverso l’analisi degli elementi finiti, come la somministrazione per 24 mesi di teriparatide, di cui è dimostrata l’efficacia nell’aumentare lo spessore e la connettività trabecolare, aumenti la resistenza del corpo vertebrale alla compressione e alla torsione del 30%. Risultati incoraggianti nell’aumentare la resistenza delle vertebre alla compressione, sono stati ottenuti anche su modello animale con la somministrazione di stronzio ranelato e indirettamente in donne con VCFs impedendo la progressione della cifosi.

Conclusioni

Per quanto sopra esposto possiamo concludere affermando che
a) il mantenimento delle curve fisiologiche del rachide è presupposto meccanicamente indispensabile per limitare la progressione delle VCFs;
b) la riduzione del momento flessorio, attraverso il ripristino delle altezze, contribuisce a ridurre nelle VCFs critiche (D7, D8, D12, L1) il rischio di ulteriori nuove fratture vertebrali (effetto domino);
c) i punti a e b si possono ottenere mediante riduzione-stabilizzazione intrasomatica mini-invasiva (vertebro-cifoplastica) che, in alcuni casi, può richiedere anche la stabilizzazione intersomatica “a cielo aperto”;
d) la riduzione-stabilizzazione intrasomatica di VCFs va sempre associata ad un trattamento farmacologico con osteoinduttori che stimolino l’osteoformazione e aumentino la resistenza;
e) in interventi di stabilizzazione intrasomatica è da preferire, soprattutto in soggetti con lunga aspettativa di vita, l’utilizzo di osteoconduttori per favorire l’osteointegrazione.

Commento

L’applicazione nella clinica quotidiana dei concetti di biomeccanica sopra esposti, sebbene ancora limitata ad un numero statisticamente non significativo di pazienti affetti da osteoporosi severa con deformità a carico di “vertebre critiche” ≥ 30%, il ricorso precoce alla riduzione-stabilizzazzione intrasomatica mini-invasiva e al trattamento farmacologico con osteoinduttore, hanno consentito di ottenere risultati incoraggianti senza che il DE si sia manifestato in due anni di osservazione.
Sono, comunque, necessari studi prospettici su una più ampia casistica che, basandosi sull’analisi biomeccanica e sull’approccio chirurgico-farmacologico, confermino l’utilità di un precoce ripristino delle altezze di VCFs critiche e del trattamento farmacologico finalizzato ad aumentare la resistenza dell’osso per limitare le conseguenze devastanti del DE.
L’arresto della progressione delle VCFs significa per i pazienti un miglioramento della qualità e delle aspettative di vita e indubbi vantaggi  nel rapporto costo/beneficio.

Domino Effect Mechanic Factor Role
VOL. VIII – N. 2 / May – Agust 2011
Clinical Cases in Mineral and Bone Metabolism

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